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Maurizio Ciccolella presenta il suo Decameron

Maurizio Ciccolella presenta il suo Decameron e rilancia: «Possiamo scolpire un nudo, ma non raccontarlo?»

MESAGNE – Con coraggio e visione, Maurizio Ciccolella riporta in scena il Decameron di Giovanni Boccaccio, trasformando un capolavoro della tradizione in uno specchio tagliente del presente. Il debutto, affidato agli allievi della Scuola d’Arte Drammatica “Talìa” di Puglia, è fissato per domenica 22 giugno al Teatro Comunale di Mesagne: lo spettacolo ha già fatto registrare il tutto esaurito.

La scuola Talìa già patrocinata da Puglia Culture e dalla Fondazione Nuovo Teatro Verdi, porta in scena non un semplice saggio finale, ma un manifesto artistico e formativo che affonda nella classicità per interrogare le contraddizioni di oggi. Con una regia che non teme rischi, Ciccolella lancia una domanda scomoda: «Perché è lecito scolpire un corpo nudo, ma ci si scandalizza se lo si racconta in scena?».

Parole che svelano una poetica netta, lucida, senza compromessi. «Portare il Decameron sul palco – spiega il regista – significa riaprire uno spazio di verità, dove il corpo e il desiderio tornano ad essere forze vitali e non colpe da nascondere. Le novelle boccacciane parlano di vita, di inganno, di piacere e fragilità, senza moralismi né censure».

Per Ciccolella, il teatro non è evasione ma esercizio di realtà, argine contro le derive di un perbenismo digitale che soffoca il linguaggio del corpo. La sessualità, nel suo lavoro, non è più un tabù o una concessione provocatoria, ma un elemento integrato nella complessità dell’umano. In scena convivono il gioco e la redenzione, la verità e l’ambiguità, la carne e la parola.

La scelta di affidare questo materiale potente a giovani attori non è casuale. «Il teatro deve formare cittadini consapevoli, non solo attori capaci», afferma Ciccolella, ribadendo la vocazione pedagogica del progetto. E aggiunge: «In un tempo in cui il corpo viene sorvegliato, deformato o silenziato, ridargli voce con Boccaccio è un atto necessario e politico».

La messinscena diventa così un campo di prova non solo artistico, ma civile: qui si impara a stare nella complessità della vita senza maschere, ad accettare la contraddizione come parte della verità umana. Per Ciccolella il Decameron non è solo un classico, ma un detonatore di pensiero critico, un esercizio di responsabilità e libertà.

«Possiamo accettare il nudo in una statua – osserva il regista – ma ci turba se viene raccontato in teatro. Perché? Perché l’arte della scena scuote, interroga, toglie al pubblico il comodo ruolo di spettatore passivo».

Il progetto va ben oltre la rappresentazione: è un gesto culturale forte, che restituisce al corpo la sua centralità narrativa, rifiutando ogni ipocrisia. Il Decameron, con le sue cento novelle e i suoi dieci narratori, torna così ad essere un laboratorio di umanità viva, incarnata, scomoda.

E proprio per questo, secondo Ciccolella, indispensabile.